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IL VECCHIO E IL CANE (Maria Monti) Vecchio e solo pensai che un cane avrebbe colmato la mia esistenza vuota. Lo trovai randagio, sporco, affamato; gli feci una carezza mi seguì senza timore. Ora è il mio cane, io sono il suo padrone. Gli parlo, lui mi risponde lambendomi le mani. “Fido , domani non avremo da mangiare, la pensione è finita, avremo da aspettare”. Arriva quel giorno benedetto, in fila, con gli altri pensionati il libretto sgualcito dal tempo stretto tra le mani, il mio turno, aspetto. Fido scodinzola contento. Lui sa che oggi mangeremo di più e un poco meglio. E’ già inverno. E’ fredda la mia casa senza fuoco, lui mi stà vicino e mi riscalda. L’inizio della primavera ci trova uniti a ringraziare il sole, mentre dal cuore mi nasce una preghiera : “Grazie Signore di aver creato il cane!”
IL VECCHIO NONNO E IL NIPOTINO C’era una volta un uomo molto anziano che camminava a fatica; le ginocchia gli tremavano, ci vedeva poco e non aveva più neanche un dente. Quando sedeva a tavola, reggeva a malapena il cucchiaio e versava sempre il brodo sulla tovaglia; spesso gliene colava anche dall’angolo della bocca. Il figlio e la nuora provavano disgusto, perciò costringevano il vecchio a sedersi nell’angolo dietro la stufa e gli davano da mangiare in una brutta ciotola di terracotta. Il poveretto guardava sconsolato il loro tavolo, con gli occhi lucidi. Un giorno le sue mani, sempre tremanti, non riuscirono a reggere la ciotola, che cadde a terra e andò in pezzi. La donna lo rimproverò, ma il vecchio non disse nulla e sospirò. Allora per pochi soldi gli comprarono una ciotola di legno. Mentre sedevano in cucina, si accorsero che il figlioletto di quattro anni armeggiava per terra con dei pezzetti di terracotta. «Che cosa stai combinando? » gli domandò il padre. «Ecco… - rispose il bambino - sto accomodando la ciotola per farci mangiare te e la mamma quando sarete vecchi». I genitori allora si guardarono e scoppiarono in lacrime. Fecero subito sedere il vecchio nonno al loro tavolo e da quel giorno lo lasciarono mangiare sempre assieme a loro. E quando versava il brodo non dicevano più nulla. (Fiaba dei fratelli Grimm)
A CIAKI (ricalcando una poesia del grande TOTO') Tengo ‘nu cane ch’è fenomenale se chiamma “ciaki” ‘o voglio bbene assaie,si perdere ll’avesse? Nun sia maie! pe me sarebbe un lutto nazionale. Mm’aggio crisciuto comm’a ‘nu guaglione cu zucchero, biscotte e papparelle; ll’aggio tirato su cu’e mmullechelle e l’aggio dato buona educazione. Gnorsì, mo è gruosso. E’ quase giuvinotto. Capisce tutto…lle manca ‘a parola. Non è nu cane e razza, ma tene bona scola,è n’incrocio tra maremmano e spitz nanu. chello ca mo ve conto è molto bello. In casa ha stabilito ‘a gerarchia.Vo’ bene ‘a mamma ch’è ‘a signora mia,e figli miei è tratta da fratello e nupute come a nu zio. A me’, se penza che lle songo ‘o pate: si ‘o guardo dinto a ll’uocchie mme capisce appizze ‘è recchie, corre, mu ubbidisce e pe fa’ ‘e pressa torna senza fiato. Roppe quatturdicianni me muorto se ne’ iute zitto zitto, senza nu lamento ce guardava inta ‘a l’uocchie a izzata a capa c’ha fatto nu surriso e poi a calata a capa cu’nu suspiro. E’ cane sì…ma tene pure ‘o core ‘o sango dinto ‘e vvene …e..... o voglio bene.
UN GIORNO DEL CREATO:: ( Ringrazio il sito della Donna del Carabiniere di FB dal quale ho attinto questa poesia. E se l'autore me lo permette vorrei dedicarla a mia Madre. Ella sposò un Carabiniere e con Lui ha percorso tutta la strada della vita militare da semplice Carabiniere a Maresciallo Maggiore. E nelle parole di questo racconto vedo la Sua Vita, i Suoi principi con i quali ha cresciuto quattro figli: L'Amore per l'Arma, L'Amore per la Patria e il rispetto delle Leggi e delle Regole. Grazie Mamma.) ******************** Un giorno il buon Dio stava creando un modello di donna da destinare a moglie di carabiniere. Era al lavoro quando un angelo gli disse: "Signore, mi sembra che voi vi stiate preoccupando troppo. Perché deve essere così diversa dalle altredonne?" Il Signore rispose: Questa donna deve essere indipendente.Deve possedere le qualità di un padre e di una madre allo stesso tempo; Deve essere una perfetta padrona di casa per quattro invitati come per quaranta anche se preavvisata solo un'ora prima, Deve essere sempre attiva ed intraprendente, far fronte a tutte le necessità, essere capace di svolgere allegramente le sue mansioni anche se è stanca o ammalata, ed essere capace di cambiare casa, abitudini e amicizie spesso e all'improvviso". L'angelo scosse la testa: "Impossibile!" Il Signore proseguì: “La doteremo di un cuore particolarmente forte, capace di sopportare il dolore delle separazioni, di dare Amore senza riserve, di offrire energie al marito nei momenti più difficili e di continuare a lottare anche quando è carico di lavoro e stanco." "Signore", disse l'angelo, toccandogli il braccio dolcemente, andate a coricarvi e riposatevi un po’, potrete terminare domani. Non posso fermarmi adesso", disse il Signore, "Sono così vicino alla creazione di qualcosa d'unico." "Questo tipo di donna si curerà da sola quando è malata, saprà dire arrivederci a suo marito su di un molo, in un aeroporto o in una stazione, comprendere perchè è importante che egli parta ed aspettarlo con rispetto." L'angelo si avvicinò al modello di donna lo guardò da vicino e sospirò: "Sembra ben fatta, ma ha l'aspetto troppo dolce", replicò il Signore, "Ma ha la forza del leone, non immagini tutto ciò che è capace di sopportare." Alla fine l'angelo si chinò e fece scorrere il suo dito sulla guancia di quella nuova creazione di Dio. "C'è una perdita!"esclamò, "Qualcosa non và in questa creatura." Il Signore parve offeso dalla mancanza di fiducia dell'angelo. "Ciò che tu vedi non è una perdita", disse "è una lacrima!" "Una lacrima? Perchè dunque?"Domandò l'angelo. Il Signore dando vita a quella dolce creatura disse:. "E’ per la gioia, il dolore, la solitudine e la fierezza che solo la moglie di un Carabiniere prova ed è dedicata a tutti quei valori cui suo marito è legato e che lei farà suoi" Anche l'angelo, commosso pianse!
(Dedicato a Mio Padre Giuseppe - M.llo Maggiore dei CC- 1911-1991). Il Carabiniere arrivò di fronte a Dio, in attesa del suo turno, sperando che le sue scarpe fossero lucide, scintillanti come i bottoni della divisa. "Fatti avanti, vecchio guerriero, cosa devo fare di te? Hai sempre porto l'altra guancia? Hai frequentato come si deve la mia Chiesa?" Il Carabiniere alzò le spalle e rispose: "No, Signore, immagino di no, perché chi di noi porta armi non può essere sempre un santo.Ho dovuto lavorare spesso di domenica, e il mio linguaggio a volte era tremendo, e mi è capitato di essere violento perché il mondo è un posto duro. Ma non ho mai preso una monetina che non fosse mia, anche quando facevo un sacco di straordinari e i conti di casa schizzavano alle stelle. E non ho mai ignorato nemmeno una richiesta di aiuto, anche se magari tremavo di paura, e qualche volta, Dio perdonami, ho pianto come una femminuccia. Lo so che non merito un posto tra questa gente, non mi volevano mai avere intorno, a parte quando dovevo scacciare le loro paure. Se hai un posto qui per me, Signore, non serve che sia grande. In vita mia mi sono sempre accontentato, quindi se non hai molto da darmi, io capirò." Si fece silenzio intorno al trono, dove di solito si affollano i santi, mentre il Carabiniere restava dritto in silenzio aspettando il giudizio del suo Dio. "Vieni ed entra, mio carabiniere, hai portato bene i tuoi fardelli, ora cammina in pace per le vie del Paradiso, all’Inferno ci sei stato abbastanza
INFERNO E PARADISO PER I CINESI C’era una volta un mandarino cinese che, giunto al momento di passare a miglior vita, chiese ed ottenne di poter visitare le due dimore eterne: l’Inferno e il Paradiso. Fu accompagnato così al soggiorno dei dannati e vide un immenso prato verde disseminato di tavole imbandite, al centro delle quali svettavano vassoi colmi di riso; e attorno alle mense i dannati, forniti dei tradizionali bastoncini che i cinesi usano per mangiare. Solo che qui erano lunghi due metri e potevano essere impugnati soltanto alle estremità. Se usati con molta accortezza, potevano permettere di racimolare qualche acino di riso, ma portarlo poi alla bocca era un’impresa impossibile. Così i commensali, affamati, disperati, furibondi gli uni contro gli altri, erano condannati a dibattersi nell’eterno tormento dei morsi della fame, pur in mezzo a tanto ben di Dio. Colpito da quello spettacolo di rabbiosa inedia nell’abbondanza, il mandarino proseguì il suo viaggio ed arrivò nel soggiorno dei beati. Anche qui un immenso prato verde disseminato di tavole imbandite, con al centro grandi vassoi colmi di riso. Attorno alle mense, anche i beati avevano in mano bastoncini lunghi due metri, che si potevano impugnare solo alle estremità. Ma qui ogni commensale, anziché affannarsi in contorcimenti indicibili per imboccare se stesso, con estrema naturalezza, offriva il cibo al commensale che gli stava di fronte. Così tutti potevano mangiare a sazietà, davvero beati, in un’atmosfera di perenne amore. (Da una novella cinese)
LE QUATTRO ETA’ DELL’UOMO. In principio Dio creò l’asino e gli disse : “Lavorerai instancabilmente dall’alba al tramonto, portando pesi sulla groppa, e vivrai 50 anni”. L’asino rispose: “Sarò asino, però vivere fino a 50 anni è troppo, dammi solo 20 anni”! Il Signore lo accontentò. Dio creò il cane e gli disse: “Difenderai la casa dell’uomo e mangerai quello che ti daranno, vivendo fino a 25 anni”. Il Cane rispose : “Vivere 25 anni per me è troppo : dammene solo 10”! Il Signore lo accontentò. Dio creò la scimmia e le disse : ”Salterai da un ramo all’altro, facendo pagliacciate, farai divertire e vivrai 20 anni”. La scimmia rispose: “Vivere 20 anni è troppo, dammene solo 10!” Il Signore l’accontentò. Finalmente il Signore creò l’uomo e gli disse : “Sarai l’unico essere razionale sulla faccia della terra. Userai la tua intelligenza per sottomettere gli animali e vivrai 20 anni.” L’uomo rispose :”Signore sarò uomo, però 20 anni è molto poco; dammi i 30 anni che l’asino ha rifiutato, i 15 anni che il cane non ha voluto, ed i 10 che la scimmia ha respinto”. Il Signore l’accontentò. E da allora l’uomo vive : ” 20 anni da uomo, si sposa e passa 30 anni da Asino, lavorando e portando tutto il peso sulle sue spalle. Poi quando i figli se ne vanno, vive 15 anni da cane, badando alla casa e mangiando ciò che gli viene dato, per poi arrivare ad essere vecchio, andare in pensione e vivere 10 anni da scimmia, saltando di casa in casa, di figlio in figlio, facendo pagliacciate per far divertire i nipotini.
LA LEGGENDA DEL PONTE DELL'ARCOBALENO C'è un posto in Paradiso, chiamato "Ponte dell'Arcobaleno". Quando un animale muore va al ponte dell'arcobaleno. Ci sono prati e colline per tutti, così che possano correre e giocare insieme. C'è tanto cibo, acqua e sole, e tutti sono al caldo e stanno bene. Quelli che erano vecchi e malati sono ora forti e vigorosi. Quelli che erano feriti o storpi e quelli che noi abbiamo usato, senza ritegno e rimorso, per i nostri bisogni, sono di nuovo integri e forti. Tutti sono felici e contenti, tranne che per una piccola cosa: quelli che sono stati cari a qualcuno, e che hanno dovuto lasciare indietro coloro che hanno amato, ne sentono la mancanza………. Corrono e giocano insieme, ma un bel giorno uno di essi, improvvisamente, si ferma e guarda lontano, verso l'orizzonte. I suoi occhi lucidi sono attenti, trema per l'impazienza. Tutto ad un tratto si stacca dal gruppo e comincia a correre, volando sul verde prato, sempre più veloce. Ti ha riconosciuto, e quando finalmente sarete insieme, vi stringerete in un abbraccio pieno di gioia, per non lasciarvi più. Una pioggia di baci felici bagnerà il tuo viso: le tue mani accarezzeranno di nuovo l'amata testolina e fisserai ancora una volta i suoi occhietti fiduciosi, per tanto tempo lontani dalla tua vita ma mai assenti dal tuo cuore. .....Allora attraverserete, insieme. Il Ponte dell'Arcobaleno…
L' U C C E L L E T T O (Trilussa) Era d’Agosto e il povero uccelletto ferito dallo sparo di un moschetto andò per riparare l’ala offesa, a finire all’interno di una chiesa. Dalla tendina del confessionale il parroco intravide l’animale mentre i fedeli stavano a sedere recitando sommessi le preghiere.Una donna che vide l’uccelletto lo prese e se lo mise dentro al petto. Ad un tratto si sentì un pigolio pio, pio – pio, pio – pio, pio. Qualcuno rise a ‘sto cantar d’uccelli e il parroco seccato, urlò: “Fratelli! chi ha l’uccello mi faccia il favore di lasciare la casa del Signore!”I maschi un po’ sorpresi a tal parole lenti e perplessi alzarono le suole, ma il parroco lasciò il confessionale e: “Fermi, disse, mi sono espresso male! tornate indietro e statemi a sentire, solo chi ha preso l’uccello deve uscire!”A testa bassa e la corona in mano, le donne tutte uscirono pian piano. Ma mentre andavan fuori gridò il prete:“Ma dove andate, stolte che voi siete! restate qui, che ognuno ascolti e sieda, io mi rivolgo a chi l’ha preso in chiesa!” . Ubbidienti in quello stesso istante le monache si alzaron tutte quante e con il volto invaso dal rossore lasciarono la casa del Signore. “Per tutti i Santi, gridò il prete, sorelle rientrate e state quiete. Convien finire, fratelli peccatori, l’equivoco e la serie degli errori: esca solo chi è così villano da stare in chiesa con l’uccello in mano! ”Ben celata in un angolo appartato una ragazza col suo fidanzato, in una cappelletta laterale, ci mancò poco si sentisse male e con il volto di un pallore smorto disse: “che ti dicevo? Se n’è accorto!”
O’ PATO (di Raffaele Viviani) ‘ O pato è ‘o capo ‘e cas, ‘o ciucciariello, pechhè tira ‘a carretta d’’a famiglia. ‘E figlie,’a sera, ‘o fanno na quadriglia, n’applauso appena sona ‘o campaniello. Chi ‘a copp’’a seggia ‘o vò tira’ ‘o cappiello chi ‘o leva ‘a giacca; e st’ommo se ‘ncuniglia, non sape a chi vasa’, nu lassa e piglia, addeventa pur’isso guagliunciello. Cchiu è stanco e cchiu lle piace ‘e se sfrena’; e tene ‘a maglia ‘a sotto ch’è spugnata. Guè, jatevenne, ca s’hadd’ ‘a cagna’. Po’ tutte attuorno ‘a tavola, ‘ncastiello. E quanno ‘a caccavella è scummigliata, appizza ‘e rrecchie pure ‘o cacciuttiello.
PER LA FESTA DELLE DONNE: Auguri alle Donne di ogni cultura, esperienza ed età. A chi soffre, a chi piange, a chi una vita più non ha... per mano di un uomo che la crede sua proprietà. Auguri a chi si aggrappa alla giustizia ai valori più semplici, la famiglia, l’amicizia. Auguri a chi nasconde una parte di sé a chi non teme di mostrarsi com’è. A chi ha il cuore spaccato perché madre di un figlio ammalato. Auguri a chi un figlio non lo ha ma lo sogna, lo vuole e a tutto si sottoporrà sperando ogni volta che quella buona sarà Auguri a chi lotta contro i pregiudizi a chi crede nel lusso dei vizi. A chi di esprimere la propria idea non smetterà neanche imbavagliata, neanche incatenata, perché crede nella libertà. Auguri a chi è innamorata, a chi lo è stata ma non ricambiata, a chi è amata e desiderata. Auguri a chi non si arresta davanti all’orrore e nemmeno il fisico dolore riesce a bloccarne la ribellione contro una cultura ed un mondo che vogliono farla da padrone. Auguri a chi sa sussurrare: “Ti amo”, “scusa”, “ci vogliamo riprovare?”. A chi sa imparare dai propri insuccessi e fregature a chi reagisce alle proprie paure. Auguri a chi è in guerra con la bilancia e a chi sa sempre spezzare una lancia. Auguri alla donna che stanotte ha lavorato, a quella che ha pregato, a quella che ha sognato, a colei che non ha dormito perché un figlio ha accudito. Auguri a chi ha perdonato a chi non lo ha fatto e non ci ha neanche pensato. Auguri a chi lotta contro il dolore, contro la malattia, contro lo strazio più grande che ci sia. Auguri a chi vive ogni sua giornata sinceramente felice e realizzata, col sorriso, il cuore e la faccia rilassata. Auguri a chi sogna, a chi crede, a chi spera, a chi lotta, a chi sa che, alla fine del tunnel, la luce apparirà. Auguri a chi c’è nata, Auguri a chi lo è…. AUGURI, AUGURI, AUGURI, anche a te!(Marianna Rossi)
PERCHE’ L’ASINO HA LE ORECCHIE LUNGHE. (Ragionamento sovra l’asino sec.xvi) L’asino ha più lunghe l’orecchie del leone e di ogni altro animale; e dicono li savi che li fur fatte così da la natura a concorrenza de le corone reali e de le mitre pontificali che sogliono ornar il capo di quei che governano il mondo. E’ ben vero ch’alcuni altri dicono che però gli asini han le orecchie lunghe, chè quando Giove ebbe creato l’universo, fè venire gli animali nel suo cospetto e a ciascuno diè il suo nome; e venendoli davanti l’asino, dicono ch’el gran Padre li disse:” tu se’asino”. Egli partitosi, e dando dieci passi indietro, si dimenticò del suo nome. onde li parve bene di ritornar a risaperlo. E venuto alla presenza di Giove li disse: “Di grazia, dimmi da nuovo, come ho io nome?”Quelli rispose :”Asino tu sei asino e ti chiami asino”. Costui va via, e come è appresso a la villa, ecco ch’un’altra volta s’avea dimendicato il nome, a guisa di colui che li fu dato un mattone in testa, onde s’era dimendicato di quanto avea imparato da che nacque.L’infelice delibera ritornare perché li pareva star male senza sapere il proprio nome. Trova che in quel punto Giove si rizzava dalla reale sede, avendo finito il negozio dei nomi. Onde, con voce asinile, piangendo gli dice: “Deh, per tua fè, non ti partir finche non mi ritorni a memoria come mi devo far chiamare”. Dicono che allora, Giove mosso da dolce sdegno, con ambo le mani lo prese per l’orecchie, e dime-nandole quanto più potea, li disse: “ Tu sé asino, ti chiami asino e sempre sarai un asino”. Da quel dimenamento le orecchie si allungarono; e lì nacque, anzi li si svegliò la memoria asinale, perché come vogliono i naturali, la memoria è allocata appresso le orecchie.
La storia di Oderico C'era una volta un ragazzino di nome Oderico; molto disubbidiente e bugiardo, spesso marinava la scuola e faceva delle scorribande con ragazzi più grandi di lui. I loro giochi preferiti erano quelli di fare dispetti alle vecchiette e alle persone indifese, rubacchiare dolci e giocattoli nelle botteghe artigiane e distruggere le bancarelle e i carretti del mercato. Nel paese tutti avevano paura di Oderico e dei suoi amici, tanto che nessuno rivolgeva loro la parola. Anche i genitori erano disperati e non sapevano più cosa fare per riportarli sulla retta via. Un giorno, mentre stavano rubando della frutta ad un povero contadino del mercato, passarono le guardie del re che, visto ciò che stava succedendo, cercarono di arrestarli. Molti di loro riuscirono a scappare, ma Oderico fu fatto prigioniero e rinchiuso nelle prigioni sotterranee del castello. La cella di Oderico era particolarmente fredda e buia e nessuno andò a trovarlo: né i suoi amici né tanto meno i suoi genitori. Preso dallo sconforto, Oderico cominciò a pensare alle conseguenze del suo cattivo comportamento. Solo nella sua disperazione e senza speranza di uscire, improvvisamente notò un topolino bianco camminare sul pavimento della prigione. Il topolino, vedendo Oderico, si fermò e cominciò a fissarlo esordendo: "Salve, mi chiamo Caciottino de Gruvieris e vivo anch'io con la mia famiglia in questa prigione da molto tempo. Se tu fossi più piccolo o la mia casetta un po' più grande potevamo farci un sacco di scorpacciate di formaggio insieme! Che ne dici comunque di diventare amici?". Oderico, sorpreso ma contento, iniziò a frequentare il topolino. E fu così che passarono molto tempo insieme durante il quale Oderico raccontò la sua vita e i motivi della sua prigionia. Il topolino, che era molto saggio, riuscì a rassicurare Oderico e nel contempo, oltre a fargli comprendere i suoi errori, lo rese consapevole delle sue buone qualità ... ed erano molte. Oderico, ormai ravvedutosi, incominciò ad essere impaziente di uscire dalla prigione per chiedere scusa a tutte le persone a cui aveva fatto del male. Una notte scoppiò un incendio ed un fumo denso ed acre avvolse tutto il castello. Oderico, chiuso a chiave nella cella, non sapendo come scappare iniziò a chiedere aiuto. Fu in quel momento che vide comparire Caciottino che gli urlò: "Non ti preoccupare, ho qui io le chiavi della cella che ho preso dalla giacca della guardia svenuta qua fuori!" Oderico, a quel punto, aprì la porta della prigione e proprio mentre stava scappando si ricordò della sentinella svenuta a terra. Senza neanche pensarci un attimo, tornò indietro e si caricò sulle spalle il pover'uomo salvandogli, così, la vita. Arrivato fuori dalla prigione trovò una folla di persone accorsa per spegnere l'incendio. Tutti, vedendolo uscire vivo insieme alla famiglia dei topolini e alla guardia salvata, gli fecero un caloroso applauso per il coraggio e la lealtà dimostrate. Da quel momento in poi, tutto il paese dimostrò a Oderico riconoscimento e ammirazione perchè era diventato un ragazzo rispettoso e di sani principi. E i topolini? Tranquilli!!! Caciottino e la sua famiglia trovarono alloggio a casa di Oderico e dei suoi genitori, tra la seconda e la terza mensola della cucina.
IL CONIGLIO ED IL LEONE : Un gruppo di giovani iene aspettava ogni giorno un coniglietto per rubargli la colazione che portava a scuola. Una mattina il coniglietto, ormai stanco dei continui furti che subiva, si fece accompagnare a scuola dal suo amico leone che disse alle iene: "Se siete così forti e prepotenti, rubate anche oggi la colazione al mio amico coniglio". Ma in un batter d'occhio le iene scapparono impaurite e non si fecero più vedere. "La forza non si dimostra quando ci si misura con i deboli!"
I TRE MAESTRI. C'era una volta, in un bosco incantato, una scuola dove i piccoli animali andavano per imparare le cose importanti della vita. Il bosco non era molto grande, i suoi abitanti erano poco numerosi e perciò nella scuola c'erano solo tre classi. Una classe era tenuta dal maestro Orso Impettitus che era molto severo e obbligava i suoi alunni a fare sempre tanti compiti. Anche quando i suoi allievi facevano bene, non li elogiava mai, diceva sempre che dovevano impegnarsi di più e li rimproverava se durante le lezioni facevano domande. La maestra Ochetta de Piumis era responsabile della seconda classe. I suoi alunni l'amavano molto perché non dava compiti a casa. In classe, non solo li faceva chiacchierare e giocare, ma non li rimproverava mai. Gli alunni della terza classe avevano come insegnante Lupo Savius. Era un maestro speciale, faceva lavorare molto i suoi alunni e li faceva partecipare alla lezione invitandoli a fare domande. Inoltre sapeva elogiarli quando studiavano e si comportavano con giudizio, nel rispetto delle regole. Un giorno avvenne che il preside della scuola, il saggio Gufo Occhipintis, volle indire una gara per premiare la classe più meritevole. Bisognava scegliere un argomento e presentarlo corredato da disegni e da qualsiasi altra cosa in modo da renderlo interessante. Naturalmente tutti gli alunni furono felici di partecipare e cominciarono a lavorare con i loro maestri per aggiudicarsi il premio. Orso Impettitus aveva già le idee molto chiare, scelse l'argomento e impose ai suoi alunni come dovevano presentarlo nei minimi dettagli. Tuttavia, alla fine il lavoro risultò arido e incompleto perché era stato fatto con poca fantasia e con la paura di sbagliare. Al contrario, Ochetta de Piumis lasciò fare completamente ai suoi allievi dicendo loro che qualsiasi cosa avessero fatto sarebbe andata bene. Nonostante l'entusiasmo iniziale, ne risultò un lavoro disordinato e pasticciato perché gli alunni non avevano capito bene cosa fare e non erano stati seguiti dalla loro maestra. Lupo Savius, invece, dopo aver riunito i suoi alunni, spiegò quello che doveva essere fatto e accettò i suggerimenti di alcuni di essi. Divise i compiti secondo le capacità e la fantasia di ognuno, controllando che tutto fosse stato fatto nel migliore dei modi. Alla premiazione finale, il lavoro migliore risultò quello della classe del Maestro Lupo Savius che fu felice di condividere il premio con i suoi alunni. "Il capo saggio sa guidare i suoi verso il traguardo senza imporsi".
LA FORZA DELL'ASTUZIA e DELLA VANITA' Tanto tempo fa viveva in un bellissimo castello medievale, di dame e cavalieri, tutto torri e merletti, il figlio del cuoco. Guglielmo, così si chiamava, era un bambino buono e volenteroso che passava molto tempo ad aiutare il papà in cucina. Non aveva tante occasioni per divertirsi perché nei dintorni non c'erano bambini della sua età e il castello era immerso in un bosco. Molte volte Guglielmo doveva sopportare le angherie dei ragazzi più grandi che, tutti figli di famiglie nobili, erano spavaldi e presuntuosi. Questi ragazzi prendevano in giro Guglielmo e lo obbligavano a fare i lavori più umili, visto che secondo loro il figlio del cuoco non sarebbe mai potuto diventato un cavaliere del re! Guglielmo, stanco e amareggiato per questi soprusi, si sentiva solo e non sapeva con chi confidarsi. Un giorno mentre si trovava nel bosco, incontrò un forestiero che gli chiese la strada per raggiungere il castello e un posto in cui chiedere ricovero per la notte. Guglielmo, che era molto gentile e disponibile, lo accompagnò e gli indicò una locanda. Così i due fecero amicizia e nei giorni successivi passarono molto tempo insieme. Guglielmo confidò al suo nuovo amico che desiderava diventare un cavaliere. Il forestiero, che in realtà era un cavaliere sotto mentite spoglie, diventò così il suo istruttore. Dopo lungo e duro allenamento ed esercizio, Guglielmo imparò ad andare a cavallo e ad utilizzare la spada con l'eleganza e la maestria che si addicono ad un cavaliere del re. Finalmente venne il giorno in cui Guglielmo potè dimostrare a tutti quello che aveva imparato. Il re, infatti, indisse un torneo, come si usava fare a quei tempi. Tutti i cavalieri, e solo loro, erano invitati a partecipare. Il vincitore del torneo avrebbe avuto la mano della figlia del re, come capita in tutti i tornei che si rispettano. Guglielmo si iscrisse al torneo utilizzando il nome del forestiero. E, per non farsi riconoscere, rimase per tutta la durata delle gare con la visiera dell'elmo abbassata sul volto. Guglielmo non solo si distinse per la bravura in tutte le competizioni, ma arrivò primo al torneo. Fu grande la sorpresa quando tutti scoprirono la sua vera identità! I figli dei nobili, che lo avevano sempre sbeffeggiato e deriso, provarono grande invidia e gelosia. Da quel giorno Guglielmo fu rispettato ed onorato. Non solo...da grande, sposando la figlia del sovrano, sarebbe diventato a sua volta re e, nell'attesa, fu investito del titolo di cavaliere del regno. I MULI MUSCOLOSI : Un contadino pensava: "Se faccio lavorare i muli da quando sono piccoli i loro muscoli e la schiena si rafforzeranno e io avrò muli adulti più forti e resistenti!" E così fece, ma gran parte dei suoi giovani muli non sopportò la fatica e morì di stenti dopo poco. Il contadino così si ritrovò con molto lavoro da fare e senza poter più contare sui suoi muli. "Non bisogna pretendere dai piccoli ciò che possono fare solo i grandi!" LA DONNA INVISIBILE : C'era una volta una donna che, per colpa della sua cattiveria e malvagità, venne condannata a rimanere per sempre invisibile e con l'anima prigioniera in un'oasi del deserto. I bambini, grazie al loro spirito puro, erano gli unici che potevano vederla. Per la donna, il solo modo per ricomparire era quello di ricevere da un bambino un vestitino al giorno per almeno sette giorni. Un giorno, passò di lì un bambino di nome Leon che era rimasto solo dopo che un gruppo di predoni aveva assalito la sua carovana. Il bimbo era molto triste e non sapeva a chi rivolgersi per raggiungere sua nonna, l'unico parente che gli era rimasto. E la donna del deserto approfittò dell'occasione; si avvicinò al bambino e gli chiese: "Ciao, cosa ti è successo?" Leon: "I predoni del deserto hanno assalito la nostra carovana e ucciso la mia famiglia. Devo raggiungere mia nonna che si trova a Samiria ma non conosco la strada per arrivarci". Donna: " Io ti potrei accompagnare da tua nonna, ma tu dovrai portarmi un tuo vestito al dì per sette giorni di seguito. Questo sarà il nostro segreto. Se tu lo svelerai, io d'incanto sparirò anche ai tuoi occhi e tu rimarrai solo nel deserto". Leon accettò il patto con la donna eeeh… primo giorno la mantellina, secondo giorno il cappellino, terzo giorno le scarpe e così via per i giorni successivi. Ma al settimo giorno Leon, infreddolito e vergognoso, non sapeva più cosa portare visto che era rimasto quasi completamente nudo. Leon era disperato e voleva svelare a qualcuno il suo segreto. All'improvviso vide comparire da una duna un cammelliere pieno di pelli e spezie da vendere. Allora colse l'occasione al volo e raccontò tutto all'uomo che, impietosito nel vedere il bambino quasi nudo, gli regalò una bella e calda pelle di pecora con la quale coprirsi e scaldarsi. L'uomo, inoltre, fece notare a Leon che, se avesse avuto bisogno di orientarsi nel deserto, bastava girare la pelle di pecora e seguire la cartina disegnata all'interno. Leon si incamminò nel deserto e raggiunse la nonna a Samiria. Così, la donna, che aveva dato a Leon un falso aiuto costringendolo a fare una cosa di cui si vergognava, venne condannata all'eterna invisibilità.